a cura di Francesca Comisso

Durata
20 settembre - 25 ottobre 2019

Con questa mostra la galleria Alberto Peola, aperta a Torino nel 1989, inaugura la sua trentesima stagione espositiva. È un racconto a più voci, tra i molti possibili, piuttosto che la celebrazione di un anniversario, che sceglie il mese di settembre, quando dopo la pausa estiva si rinnova il rito degli inizi e con esso lo slancio che accompagna le nuove imprese, come il corrispettivo di un'attitudine che caratterizza, anno dopo anno, l'attività della galleria. Nell'avvicendarsi degli orientamenti artistici e dei linguaggi espressivi, dalla pittura mediale degli inizi alla più recente attenzione alle pratiche artistiche research based, costante è stato infatti l'interesse e il sostegno della galleria verso gli artisti giovani o emergenti, in anni in cui l'arte delle giovani generazioni non era ancora oggetto, come a fine anni Novanta, di un vero e proprio culto, al quale si accompagnerà purtroppo anche un rapido consumo innescato dalle logiche di mercato.

La mostra coinvolge artisti che lavorano da sempre con la galleria e altri che hanno condiviso progetti e periodi più brevi, con una prospettiva che unisce l'attenzione al contesto italiano e il dialogo con alcuni protagonisti della scena europea ed internazionale, secondo un'impostazione che da sempre ne caratterizza la programmazione. È il caso di Gianfranco Baruchello, che ha esposto da Peola a inizio anni Novanta, di Martin Creed, presentato per la prima volta nel 1999, due anni prima che vincesse il Turner Prize, in una mostra a cura di Gail Cochrane, e poi in altre due personali di cui resta l'immagine di centinaia di palloncini rossi che occupano gli spazi dell'intera galleria. Oltre a Creed, Michael Rakowitz e la britannica Lala Meredith-Vula, che ha appena presentato in galleria la sua terza personale con il progetto fotografico sui covoni dei contadini albanesi (Haystacks), esposto anche a dOCUMENTA14. Questioni politiche e sociali legate all'identità, alla storia e alla memoria sono al centro delle ricerche di molte artiste che lavorano con la galleria, a partire da Emily Jacir, palestinese, vincitrice del Leone d'Oro a Venezia (2007), che prepara la sua prossima quarta personale dopo la mostra di Ex libris che aveva esposto nel 2012 a dOCUMENTA13, a Fatma Bucak, artista turca che si è formata all'Accademia di Torino, a Gülsün Karamustafa, anche lei turca di una generazione precedente, che affronta questioni di genere, di esilio e migrazione, e ancora Dubravka Vidović, Eva Frapiccini e la scultrice pachistana Adeela Suleman, ciascuna impegnata, in modo diverso, con frammenti del passato o della violenza del presente. Tematiche ecologiche e ambientali sono al centro della pratica artistica di Marguerite Kahrl, espressa con media diversi. La fotografia, le sue potenzialità linguistiche e concettuali, e il video sono oggetto di ricerca di molti artisti della galleria, da Botto&Bruno, che le declinano in opere installative, al duo Gioberto Noro, ai filmmakers Vittorio Mortarotti e Anush Hamzehian, a Paola de Pietri, Simone Mussat Sartor, Candida Höfer, Sophy Rickett, o ancora Laura Pugno, che ha fatto della natura e del paesaggio il suo terreno d'indagine, forzando i limiti espressivi e i confini tra pittura, fotografia, scultura e azione. L'archivio, come fonte e come dispositivo formale, è al centro delle pratiche research based di Cosimo Veneziano, che usa il disegno come strategia di riappropriazione e narrazione critica del reale. Tra gli autori che da più lungo tempo espongono in galleria vi è Thorsten Kirchhoff, con una ricerca che pone la pittura in dialogo con la fotografia e il cinema, mentre un'indagine sui suoi fondamenti o sul potenziale comunicativo di antiche e nuove iconografie pittoriche è sviluppata da Paolo Bini, Gabriele Arruzzo, Victoria Stoian, Cornelia Badelita e da Yuko Murata. Su versanti quasi opposti, per ragioni di metodo e di poetica, Francesca Ferreri ordisce nuove narrative intorno a complessi plastici “attivati” da frammenti di oggetti e materia ceramica, mentre Perino & Vele conferiscono a cose e luoghi una dimensione plastico scultorea, ricorrendo al più popolare ed economico dei materiali, la cartapesta. Due diversi modi di dire “scultura”.