Durata
22 settembre 2020 - 20 febbraio 2021

Altre mostre

È materia delicata: un bellissimo modo di dire, per indicare un argomento o un problema da trattare con attenzione, cautela, consapevolezza. E forse nessuna definizione aderisce meglio all’arte: materia delicata per eccellenza che va avvicinata senza fretta e senza superficialità, con amore e con cura, e persino con circospezione perché può, e qualche volta deve, essere pericolosa. Ma nel caso di Gregorio Botta la definizione è forse ancora più precisa: perché è un artista che, in un’epoca di cultura sempre più smaterializzata e digitale, ci richiama alla fisicità, all’importanza del corpo (nostro e di ogni cosa). 

Per questo   lavora con elementi che abbiano un legame antico con l’uomo, che siano in qualche modo inscritti nel nostro Dna culturale, come la cera, il piombo, il vetro, l’acqua, il ferro, il fuoco, il marmo, ultimamente anche foglie e erbe e fiori: materie trasformate in qualcosa di più leggero, di aereo, di sospeso, ci parlano della nostra fragilità e impermanenza. La mostra a Torino si inaugura poco dopo la personale alla Galleria Nazionale di Roma (4 febbraio-18 maggio) intitolata con un verso dell’amata Emily Dickinson, “Just measuring unconsciousness” che, malgrado la forzata interruzione causata dal virus, è stata visitatissima. La mostra di Torino evoca le stesse atmosfere. Ecco l’acqua, che scorre su una lastra di piombo segnata da quattro ferite-sorgenti. Ecco l’alabastro, il più luminoso e diafano dei marmi, che sembra racchiudere un mistero al suo interno: come se un respiro lo avesse scavato per depositarvi qualcosa, una foglia d’oro ad esempio. Ci sono poi le carte giapponesi e la cera dei Noli me tangere, dove foglie e fiori vengono composti insieme a tracce di sangue, come accade nella cella affrescata dall’Angelico nel convento di San Marco a Firenze: un’opera che sembra accogliere il dolore nella bellezza della natura. Ma quel che conta di più, al di là dei singoli lavori, è il luogo che l’artista cerca di creare: uno spazio estetico che invita al silenzio e alla contemplazione. Come dice la scultura che accoglie il visitatore all’ingresso: una campana tibetana sospesa nel vuoto. Non può suonare, ma il suo silenzio è più forte di qualsiasi rintocco. 

Con la collaborazione della Galleria Studio G7 Bologna.

Comunicato Stampa