Silenzi: assenza di voci in paesaggi naturali, in luoghi testimoni di un passato industriale, in spazi pubblici; ma anche mancanza di titolo - chiave di lettura suggerita dall'artista che rende più esplicita la narrazione - o di punto di vista univoco nella lettura dell'immagine.
Apre l'esposizione una coppia di Water Towers di Bernd e Hilla Becher, fotografate negli USA. La scelta del bianco e nero, raffinatissimo nelle due opere presentate, la tipologia ripetuta della stessa struttura di archeologia industriale, la sua dimensione sempre uguale e la sua centralità nell'inquadratura, la luce neutra senza ombre fanno lo stile inconfondibile dei due artisti tedeschi. Ma le due torri d'acqua sono qui meno decontestualizzate che in altre fotografie della stessa serie: minuscole case e alberi dai rami graficamente ben definiti costituiscono uno sfondo particolare che, nell'assoluto rigore dell'immagine, aumenta la monumentalità del soggetto ritratto.
Anche nel lavoro di Olafur Eliasson le singole fotografie sono parte di un insieme che le raggruppa per tipo di soggetto e che rende evidenti aspetti formali come l'uguaglianza di dimensione o la regolarità della linea dell'orizzonte che le attraversa tutte alla stessa altezza. Guardate una per volta, ognuna mostra in ricco dettaglio le caratteristiche di un particolare aspetto della natura islandese, geologicamente giovane e potente, in costante evoluzione. Nelle fotografie delle Iceland series, che ritraggono paesaggi ghiacciati da cui emergono coni di lava, i dettagli del ghiaccio e della roccia sono fissati con chiarezza cristallina sotto la luce piatta di una coltre omogenea di nuvole attraverso cui si intravede il sole.
Il continuo rimando tra individualità e serialità è presente anche nel lavoro di Sophy Rickett Twelve Trees, M40. Ogni fotografia mostra un albero che si staglia isolato su uno sfondo perfettamente nero, decontestualizzato dall'ambiente circostante. Scelta formale e concettuale che evidenzia l'unicità di ciascun albero, di cui risaltano i minimi dettagli, ma nello stesso tempo lo mostra come un esemplare della specie di cui si vogliono descrivere i caratteri. Nell'ambiguità dei confini nell'interpretazione della natura e del paesaggio, Rickett va oltre la sottolineatura romantica di un ritratto in cui gli alberi sembrano brillare nel buio circostante, per collocarli in una più fredda e più scientifica griglia di rappresentazioni.
La ricerca di Elger Esser si muove su una linea che sta tra documentazione fotografica e riferimenti pittorici all'arte del passato. Le sue immagini di grandi dimensioni ritraggono paesaggi in cui l'acqua è l'elemento prevalente, i colori sono ridotti all'essenziale e spesso virano al giallo, la luce è lattiginosa, l'atmosfera rarefatta e densa di suggestioni. Sembra di percepirvi un diffuso senso di immobilità e silenzio. Nonostante il titolo definisca esattamente il luogo ritratto - in mostra Montlouis, France -, nelle fotografie di Esser c'è una sorta di astrazione che produce una tensione affascinante tra il paesaggio incontrato dall'artista e quello di cui lo spettatore ha avuto diretta esperienza emozionale.
Nelle fotografie del deserto di Paola De Pietri, immagini che sembrano dipinte, la poesia prevale sull'informazione, la funzione simbolica su quella comunicativa. L'artista analizza e indaga, e poi di fatto contempla la realtà da cui estrae immagini godibili per la loro bellezza figurale. "Per riposizionare lo spettatore nel punto occupato tradizionalmente dal contemplatore, Paola De Pietri attraversa il paesaggio. […] Così facendo ella restituisce le cose al tempo piuttosto che allo spazio […] Per lei fotografare significa darsi la possibilità di rallentare il battito del tempo, il fluire delle visioni, l'impressione della realtà stessa. Questo rallentamento apre a inedite esperienze: lascia varchi all'altro e all'inatteso". (dal testo Un altro tempo, un altro da me di Sergio Risaliti nel catalogo della mostra aprile - maggio 2008)
In San Augustin, Mexico Candida Höfer ha fotografato la chiesa in una fase di ristrutturazione che rende ancora più evidenti la purezza e il rigore dell'architettura dell'ambiente spoglio, in cui due serie di statue appoggiate ai pilastri si fronteggiano simmetricamente. In Zentralinstitut für Kunstgeschichte, München la perfetta scansione spaziale orizzontale e verticale incornicia un insieme di statue classiche che "affollano" la sala. Chiesa e museo, due luoghi pubblici tipici dell'archivio fotografico dell'artista, come sempre ripresi in assenza di persone, ma non per questo meno significativi. Luoghi sospesi in una pausa della loro funzione, in un silenzio quasi metafisico che li carica di particolare intensità. Se li si sa ascoltare, quegli spazi raccontano ciò che solitamente nascondono alla vista.
La ricerca fotografica di Louise Lawler indaga sull'arte e il suo ruolo. Fotografando opere d'arte in musei, fondazioni e in collezioni private, l'artista mostra le modalità con cui queste sono selezionate ed esposte, sottolinea l'influenza del contesto sulla percezione dell'oggetto artistico e si interroga sul significato dell'arte nella nostra società. In mostra è presentata Nantes II, in cui l'equilibrio delle forme e dei colori trasforma le opere fotografate in "segni estetici" che possono assumere significati diversi a secondo del contesto.
"And art is always a collaboration with what came before you and what comes after you". Louise Lawler