Durata
21 marzo - 30 aprile 2014

Altre mostre

Alberto Peola ha il piacere di presentare la terza mostra personale di Laura Pugno.
La ricerca artistica di Laura Pugno ha per tema la visione come esperienza culturalmente condizionata. L’oggetto concreto della sua ricerca critica è il paesaggio, non tanto in sé, ma perché esso rappresenta l’oggetto su cui la visione tradizionale si è maggiormente esercitata. Un lavoro sulla visione - di critica della visione - trova nel paesaggio un buon terreno per esercitarsi. Alcune fasi precedenti del suo lavoro rappresentavano l’immagine paesaggistica solo attraverso una delle sue caratteristiche (come il colore, o il ‘peso’), ignorando la stessa morfologia. Oppure l’artista lavorava tenendo alle spalle i paesaggi e incidendo i loro riflessi su lastre di plexiglass. La fase successiva delle cancellazioni ha preso di mira il carattere integrato del paesaggio, operando su di esso attraverso abrasioni selettive dirette a ‘liberarne’ delle parti.

Laura Pugno presenta ora un nuovo ciclo di cancellazioni che restano per lei una direzione di ricerca proficua, che si è arricchita di significativi sviluppi. Si può costruire interamente un paesaggio, sia pure evocandone uno reale, lo si può sollecitare con fonti di luce molteplici, poi fotografare, e andare in cerca di parti più reali attraverso cancellazioni. Si delinea la consapevolezza che il paesaggio non è semplicemente un oggetto, uno dei tanti, della realtà visuale che ci circonda, ma è, assai di più, un modo per organizzare tale realtà. Molte realtà visuali complesse possono essere trattate come paesaggi, prescindendo del tutto dalla presenza di morfologie tradizionali. Il paesaggio come categoria che eleva una realtà visuale complessa a sistema. Una categoria che l’artista ha applicato a immagini non tradizionali: a interni di abitazioni, per esempio, stupendosi ogni volta delle capacità integrative della realtà visuale che il ‘paesaggio’ possiede, e cercando ogni volta, anche qui, di far emergere, attraverso cancellazioni, parti precedentemente imprigionate nel sistema.

La fase più radicale di critica alla visione comporta una sorta di abbandono della visione. Questa fase ha preso le mosse dal workshop Membra Vagavano, a cura di Gian Antonio Gilli, della primavera scorsa a Torino. Secondo l’ipotesi di lavoro da cui il workshop è partito (formulata sulla base delle teorie di Empedocle), alle Origini il corpo non esisteva, esistevano solo membra sparse, ciascuna dotata di vita autonoma. La scelta di Laura Pugno è stata l’occhio: un occhio tuttavia che non praticava la visualità (poco rilevante alle Origini), bensì il tatto, che era la fonte di esperienza dominante. La scoperta di un’esperienza tattile come esperienza primaria, a monte dell’esperienza visiva, rappresenta la prospettiva di fondo in cui l’artista si sta muovendo in questa fase del lavoro.
L’ occhio delle origini è dunque un occhio che non opera attraverso la visione.Taccuini di viaggio documenta, immaginativamente, il vagare dell'occhio che conosce attraverso il tatto. Le superfici 'toccate' sono, in modo significativo, pagine in caratteri Braille. Utilizzando una foto da lei scattata, l’artista l’ha percorsa con carta-vetro, e ha cancellato unicamente i punti in cui emergevano i rilievi del Braille, portando via parti dell'immagine, ma nello stesso tempo facendo emergere punti di luce che ricordano il fuoco (la luce) che secondo la teoria arcaica della visione esisteva dentro l’occhio, e che, uscendo, consentiva di ‘vedere’.

Infine, il congedo dalla visione. Il lavoro Form in progress è partito dal ‘problema di Molyneux’, il fisico irlandese che nel 1693 scrisse a Locke una lettera proponendogli una questione diventata famosa: un soggetto nato cieco, che abbia imparato a distinguere col tatto due solidi di dimensioni equivalenti, una sfera e un cubo, se recuperasse la vista, riuscirebbe servendosi solo della vista a dire, dei due solidi posti innanzi a lui, quale è la sfera e quale il cubo? La risposta dell’artista al problema muove dalla constatazione che, per ‘forma’, si intende sempre forma visiva. I suoi lavori scultorei sono invece il tentativo di indagare la forma tattile, ossia una forma che prescinde completamente dalla vista. Sono realizzati con la creta, e sono stati modellati dopo un ‘rapporto’ unicamente tattile con i due oggetti - una sfera e un cubo - sforzandosi di prescindere dalla memoria visiva ad essi relativa. In questi lavori Pugno ha cercato di dimenticare la conoscenza della forma visiva dei due oggetti; ha cercato di toccarli rifiutando ogni riconoscimento, tentando di ricostruire una condizione tattile ‘pura’. È questa condizione che fa dell’esperienza tattile di uno stesso oggetto un’esperienza ogni volta diversa: una ricchezza infinita, senza confronti con la relativa ‘fissità’ della forma visiva.