Alberto Peola ha il piacere di presentare la seconda mostra personale dell’artista americana Marguerite Kahrl.
Invenzione atipica da ogni punto di vista, la serie Noble Savages di Marguerite Kahrl si ispira all’opera di Goya Los Caprichos, una raccolta di ottanta acqueforti pubblicata nel 1799. La serie della Kahrl comprende busti di figure mostruose, realizzate non in marmo, come ci si potrebbe aspettare, ma in tessuto di canapa, un materiale umile che deriva da una pianta coltivata fino a tempi recenti in molte zone d’Italia. Di mostri dunque si tratta, ma di mostri di pezza, di quelli a cui vien voglia di strapazzare le orecchie, mostri rassicuranti, resi inoffensivi dal materiale grezzo tessuto a mano. Sono mostri domestici, alla buona, con facce bitorzolute e sorrisi un po’ sghembi, messi su piedistalli un po’ troppo esili per dare un’idea di solidità, che osservano il mondo con un occhio mezzo cieco in maniera furtiva e insieme benevola.
Marguerite Kahrl è un’artista neoconcettuale di New York fortemente impegnata nella causa ambientalista, le cui convinzioni sono radicate nei principi della permacultura, una filosofia del design che cerca di incorporare ecologie fondate sull’osservazione di modelli naturali, sull’assunzione di responsabilità per la nostra terra, sulla cura dell’altro, e sulla pratica dello sviluppo sostenibile. Questo atteggiamento olistico consente all’artista di far coesistere la sua attenzione per un mondo sempre più complesso e sovraccarico e l’oggetto artistico senza mai soccombere al puro attivismo.
I suoi mostri di pezza sono, di fatto, il prodotto della ricerca delle proprietà della canapa industriale che un tempo veniva coltivata in molte zone d’Italia, compreso il Canavese, in Piemonte, dove Kahrl vive per parte dell’anno. Kahrl è rimasta affascinata da questa pianta tradizionale e versatile, un tempo impiegata nei più svariati ambiti domestici, dalla confezione di lenzuola e di camicie da notte alle meno note produzioni di oli e altri alimenti. Le proprietà ecologiche della canapa sono molte ed eterogenee (si pensi che la canapa può fornire persino un sostituto del petrolio) e non è un caso che l’artista l’abbia scelta come metafora di uno stile di vita sostenibile.
Ma lasciando da parte l’aspetto ‘impegnato’ della sua opera, possiamo solo immaginare quanto Kahrl si sia divertita a cucire le fattezze dei suoi mostri, a tirare la stoffa da questa parte o dall’altra per cambiarne le smorfie. Chi sono questi personaggi? In realtà, sono meno simili ai Los Caprichos di quanto potremmo pensare. Le creature da incubo di Goya sono una caricatura tagliente dell’abiezione morale e sociale del tempo. I Noble Savages di Kahrl sono, credo, più vicini nello spirito al tipo di parodia delle debolezze umane che troviamo in Honoré Daumier, pur conservando l’aspetto macabro delle irrazionali ed ermetiche acqueforti di Goya.
Come nelle opere di Claes Oldenburg, gli oggetti solidi che diventano morbidi fanno sorridere; perdendo gli spigoli, essi assumono le proprietà tattili dei giocattoli di peluche, da accarezzare e stringere tra le braccia. Vagamente zoomorfe, come le autorità ritratte da Goya con la testa d’asino, i selvaggi della Kahrl rimangono tuttavia curiosamente distanti, figure di potere che potrebbero in qualche modo aiutarci a mediare tra il nostro mondo razionale, di veglia, da una parte, e il mondo invisibile, irrazionale, della fantasia e della paura dall’altro.
Forse non dovrebbe sorprendere la circostanza che Kahrl prenda spunto da un periodo specifico della storia europea. Mettendo in discussione il pensiero postmoderno implicitamente corrente, il titolo Noble Savages che l’artista assegna ai suoi mostri contiene una serie di allusioni, soprattutto all’illuminismo, o, come gli inglesi preferiscono chiamarlo, l’età della ragione. Oltre al riferimento a Dryden, che coniò questa espressione, il titolo ha anche una risonanza rousseauiana. Rousseau fu il primo dei Filosofi a condannare senza ambiguità la depravazione della sua epoca, affermando allo stesso tempo la superiorità morale del selvaggio, colui che non è stato ancora contaminato dall’influenza corruttrice della società ma conserva la sua primitiva innocenza e nobiltà.
(Dal testo Mostri di pezza nell’epoca della non-ragione di Anna Detheridge)