Simondi
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Nell’universo pittorico di Lauren Wy (Los Angeles) – scardinando i termini triti, si potrebbe definire “cosmo iconografico” – un’inedita figura rigenera un paradigma estetico e concettuale che coniuga solennità e mistero, incarnando una figura ibrida e liminale: appare la donna-angelo (-alieno). Questo archetipo fiammante, sbalestrato tra l’empireo e la caducità terrena, tra la concretezza del reale e l’effimero del virtuale, sintetizza opposti radicali, sociali e psicologici, attraversati nell’attuale. Da una parte, si manifesta l’angelo caduto, ribelle, sventurato e tragico, emblema di una sensualità inquieta, trasgressiva e umbratile; dall'altra, ricorre l’angelo combattente, figura speculativa e morale, araldo di luce e verità. Wy si inserisce con maestria in questo spazio dialettico, richiamandosi alla tradizione biblica e filtrandola con fine sensibilità, catturando l’aderente rappresentazione di un mondo disgregato e postmoderno; un mondo che fluisce vischioso oltre i suoi confini, apprendendo presenze extraterrestri e allucinanti. Le sue opere non solo descrivono, ma interrogano profondamente la costruzione dell’identità – in specie femminile – e la complessità dell’esperienza umana.

 

Il progetto – un vero e proprio nuovo manifesto della sua poetica – di Wy, è scandito da un dialogo denso e consapevole con la tradizione artistica e letteraria occidentale; tra le prime fonti spicca Paradise Lost di John Milton, che declina e torce la caduta degli angeli ribelli non solo come gesto di sfida, ma come aspirazione all’autonomia dell’esistenza – l’emancipazione indicibile e paradossale dall’origine del tempo e dello spazio, ovvero da Dio. L’angelo di Wy è al contempo disobbedienza eroica ed espiazione in potenza; un prisma attraverso cui si frammentano e disarticolano temi universali quali il desiderio, l’alienazione e il mutamento. Nel suo vagare e sfarinare le ali, si intrecciano la provocazione del peccato e l’urgenza della redenzione, la fragilità della carne e la tenacia rigenerativa dello spirito.

 

Le tele di Wy sono abitate da figure che si moltiplicano e si fondono in posture dinamiche e al contempo immutabili, sospese tra l’orgiastico, il quotidiano e il contemplativo. I colori vibranti, incandescenti, spesso inaciditi, e le linee marcate con incisività contrapposte a velature eteree, imprimono alle composizioni una drammaticità che sfida lo sguardo e lo trasporta in una dimensione dove erotismo e trascendenza si compenetrano. Il corpo femminile, nella visione di Wy, diviene nucleo di soggettività plurali, metafora della tensione tra conformismo e autenticazione del sé. Ogni oggetto concorre quale riflesso narcisistico: le automobili, le webcam, le candele e altri elementi ricorrenti, totemici ma confusi nella moltitudine di accadimenti della scena, trascendono il loro ruolo funzionale per caricarsi di valenze allegoriche: è l’iconografia della tangibilità della memoria, veicolo di modelli culturali e consapevolezze personali che interagiscono con le scenografie interiori, oniriche, dell’artista.

 

La ricerca di Wy è concepita come un diario di viaggio – ultramondano, forse infernale – in cui il linguaggio pittorico si articola in una narrazione stratificata e multimediale. Attraverso un’ampia gamma di tecniche, dai pastelli a cera alla tempera a olio al montaggio video fino all’uso dell’intelligenza artificiale, l’artista rende vita a un racconto di rara densità. In questa fase matura, l’angelo del caos emerge come cifra di una poetica che intreccia sacro e profano, terreno e celeste, iconografia religiosa – dall’Arcangelo Michele alla rivolta e caduta degli angeli ribelli – sintomo di una morale collettiva e decostruzione tagliente dell’epoca odierna segnata da un’apatia e da connessioni sempre più rarefatte.

 

La mostra è quindi un’indagine sulla femminilità come atto di creazione e ribellione – anche distruttiva, a patto che il fine sia una rinascita. Il desiderio, inteso come forza generativa, trasforma la caduta in un preludio all’ascensione. La donna-alieno, ovvero l’angelo del caos, non è soltanto una figura dicotomica, ma una manifestazione di sintesi: colpa e salvezza, corpo e spirito, limite secolare e possibilità fantastica. In un gesto che richiama la tensione miltoniana, Lauren Wy invita a una riflessione sull’essenza più profonda della libertà, suggerendo che tra la luce e l’ombra, tra la grazia e la caduta, si cela la complessità irriducibile dell’esistenza.

Federica Maria Giallombardo

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