Simondi
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  • 11.05.2025
  • 28.06.2025
  • LAURA PUGNO / LUCIA VERONESI
  • Testo di Martina Angelotti
    Inaugurazione sabato 10 maggio 2025, ore 18—23

L’Ammophila Arenaria è una pianta cespugliosa, dalle foglie sottili e lunghe di colore verde grigio e leggermente appuntite. È assai diffusa nel bacino del Mediterraneo così come nella costa atlantica, tanto che sembra una pianta di poco conto, eppure la sua presenza favorisce la nascita delle dune di sabbia, le cui forme sinuose e brulicanti di vita, garantiscono la protezione delle coste. Ma cosa succede quando la sabbia scarseggia e l’Ammophila non accumula abbastanza granelli su cui poter crescere e germogliare?

 

L’artista Laura Pugno fa di questa pianta la protagonista della sua ricerca - ora disegnandola nelle sue forme stilizzate simili ad ideogrammi, ora usandola come sottotraccia alle opere fotografiche e ad una scultura, che rivolgono la propria attenzione ad un’unica gravosa questione: l’erosione della costa.

 

In Persuasioni (2025), la serie di disegni dedicati alle piante costiere, l'artista usa la sabbia come materiale pittorico e gioca col potere persuasivo che la pianta evoca nella sua relazione con la terra. I disegni manifestano il tentativo di trattenere la sabbia, essenziale per la vita delle piante che essi stessi riproducono, ma si scontrano con la vanità del gesto, che non impedirà al mare di espandersi né alla costa di erodersi.

 

Quella da cui prende spunto l’artista è la costa veneta bagnata dal mar Adriatico, dove sorge Bibione. Qui come in altre località della costa italiana i cui profili sono stati ridisegnati dall’antropizzazione per accomodare il turismo di massa, la costa ha prodotto un notevole cambiamento morfologico, necessitando di ingenti azioni di ripascimento per essere rimpolpata di sabbia ed abitata dall’uomo. 

 

La soglia (2025), è l’immagine fotografica che introduce a questo scenario presente, labile e inesorabile, mostrandoci un orizzonte sovrastato da una linea frastagliata di cumuli di sabbia volti a ricreare una sorta di ecosistema indotto, per evitare quello che invece mostra la serie successiva di fotografie raccolte sotto al titolo di Prove d’Identità (2025). Queste immagini scatatte nella stessa località e stampate, con forte intenzione, non a caso su carta abrasiva, mostrano un fenomeno sintomatico che appare nei mesi invernali quando l’erosione si fa più evidente a causa delle forti mareggiate, tanto da far emergere il substrato di argilla a ridosso del mare. Su questa superficie rocciosa, ma soffice e malleabile, si imprimono i segni dei pneumatici delle draghe che lavorano al ripascimento. 
Immortalati in questa serie di tre scatti, questi paesaggi geometrici sembrano appartenere ad altri pianeti, o ad altri futuri, spezzati dalla presenza di una porzione di carta non stampata che mostra la sua composizione grezza fatta di sabbia. La sua rugosità infatti, trattiene il pigmento incorporandolo nella materia sabbiosa di cui si compone. Usata grezza, in corrispondenza del mare, la carta trova una perfetta corrispondenza con l'azione erosiva dell'acqua, creando così un cortocircuito sensoriale che lega la sua composizione al valore simbolico dell'immagine.

 

La stessa argilla che segnala l’imprudenza con cui l’uomo sta distruggendo l’ecosistema per fini personali, è anche quella che compone la scultura Ammophila Arenaria (2025), l’omaggio più diretto alla regina degli arenili.
Posizionata su una mensola installata a parete, l’anfora reca sui fianchi due incisioni stilizzate della pianta, disturbate da crepe o piccoli cretti come fossero ferite, dalle quali fluiscono fili di sabbia che formano due mucchietti distinti sul pavimento. 
Sembra di udire il pianto dell’Ammophila che cerca il nutrimento e non riesce a svolgere la sua funzione protettrice. Il vaso qui funziona come una sorta di clessidra, che scandisce il tempo che rimane - stagione dopo stagione - a preservare quello che in parte è già divenuto oggetto di devastazione ecosistemica.
Lo svuotamento dell'anfora causato dalla forza di gravità, non è solo il gesto simbolico che sottolinea la sparizione della sabbia, ma genera un processo entropico che solo un nuovo riempimento può contrastare, innescando un ciclo continuo di vuoti e pieni.

 

A questo lamento evocato dell'Ammophila, si uniscono anche quelli della Limonium catanese, della Psychotria ilocana, della Hieracium tolstoii. Piante perse per sempre che l’artista Lucia Veronesi ha riprodotto sotto forma di piccoli collage serigrafati, su cui affiorano foglie e arbusti del passato, su macchie di colore e pattern geometrici come a cercare un nuovo respiro. 
Seguendo una ricerca dell’Università di Roma Tre che studia la possibilità di recuperare le piante estinte utilizzando i semi contenuti negli erbari, l’artista concepisce un sistema di elaborazione che combina l’approccio scientifico con quello artistico, partendo da alcune categorie che identificano il grado di pericolosità di estinzione delle piante. 
Le sigle EX (extinct) ed EW (extinct in the Wild) che compaiono nei titoli dei collage, conferiscono lo stato di allarme su cui vertono le specie e ci invitano a riflettere sull’immensa e complessa categorizzazione che da secoli definisce lo stato di vita delle piante.
Se esistono ancora dei semi di piante dormienti, chiusi in piccole buste di plastica all’interno degli erbari, allora è necessario provare a risvegliarli, mettendo in campo le sperimentazioni possibili affinché possano nuovamente germogliare.

 

Non sono solo le banche del germoplasma o gli orti botanici, i custodi della specie. Anche le collezioni degli erbari rappresentano un immenso patrimonio di vita possibile, che necessita di un maggior riconoscimento per contribuire al processo di de-estinzione delle piante. È su questo che l’artista richiama la nostra sensibilità. Con la serie dei monotipi e ricamo su tessuto, dal titolo The plants you kill are doing quite well (2025), l’artista produce una sorta di atto psicomagico, riportando in vita attraverso un processo metamorfico del linguaggio, quelle piante che la scienza ha riscoperto in natura sotto nuove tassonomie. Piante che si credevano estinte, ma che - forse per tenacia forse per afflato di vita - hanno ripreso a vivere dentro altre atmosfere. 
Quello dei monotipi è un nuovo vocabolario ricamato, un atto di cura verso le parole che sovrapponendosi generano una nuova fonetica. Un ringraziamento verso il potere germogliativo della pianta. 
Sopravvivere alle ingerenze antropiche e alle devastazioni ambientali, non è cosa facile per semi che pesano poco meno di un grammo sul palmo di una mano. Eppure, il lavoro di Lucia Veronesi è un gesto di fiducia posto nei confronti della natura e di quello che Anna Tzing chiama la “rinascenza” degli organismi.

 

Reditus naturalis sp (2025) è la sintesi più articolata di questo studio e mostra visivamente il funzionamento di questi organismi estinti che pian piano ritornano a vivere. L’inchiostro serigrafato sul tessuto in cotone, a contatto col calore delle lampade, lascia trasparire le stampe sottostanti, facendo così riaffiorare quella che un tempo era una pianta estinta, ma che oggi ha ripreso il suo ciclo.

 

La ricerca di Laura Pugno e di Lucia Veronesi trova nella terra e nel suo potere germinativo il punto di incontro più evidente.
Se da un lato la terra si sottrae alla costa massivamente occupata dalla presenza dell'uomo, dall’altro sono le piante agonizzanti che la cercano per radicarsi. 
Forse domani è un poetico e coraggioso tentativo di guardare alla terra infetta, negoziando alleanze e incoraggiando atti di resistenza.
Gli organismi sono in grado di adeguare sistemi di abitabilità multispecie in mezzo a tanta turbolenza.
Alcuni sono in pericolo, qualcuno rinasce, altri sono morti per sempre.   

 Martina Angelotti

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