a cura di Luca Beatrice
Quello della pittura, prima ancora che un mestiere, un’arte, è una disciplina. Un’esigenza quotidiana che impone riflessione, esercizio, metodo. Una pratica che si trasforma in urgenza. Diversamente da altri linguaggi, la pittura può vivere anche senza un particolare progetto perché al pensiero e alla teoria si vanno sommando l’istinto e il talento. L’uno non può funzionare senza l’altro e solo mettendoli insieme il meccanismo allora funziona. Ecco perché di pittori davvero interessanti e coraggiosi in giro se ne vedono pochi.
Parlando con Paolo Bini di questa mostra, a lungo abbiamo riflettuto sul titolo. Bocciate tutte le proposte in inglese, ho preferito concentrarmi su quanto spazio la pittura occupi nella sua vita: è il suo lavoro, la sua passione, la sua curiosità, la sfida continua, prima di tutto a se stesso. Ne parla, chiede, cerca confronto, con estrema gentilezza e altrettanta prontezza ti informa sui risultati in corso, esterna dubbi, dialoga, ascolta, riflette e alla fine il risultato corrisponde sempre a qualcosa di sorprendente. La pittura, giorno dopo giorno, è la condizione esistenziale di Paolo Bini, frutto di una ricerca che lo insegue e di un’umanità contagiosa e travolgente. La sua vita, parafrasando un grande film, Vita di P.
Volendo applicare alla lettera le categorie imposte dalla storia dell’arte, i dipinti di Bini andrebbero inseriti all’interno dell’astrazione, ma certo non ha più senso limitarne l’analisi attraverso schemi novecenteschi. Anche la pittura di Paolo si è misurata, affrontandolo, con il cambiamento in atto che prevede un’ampia possibilità di contaminazioni e meticciati linguistici: oggi si fa pittura, paradossalmente, senza dipingere, tenendo conto della tecnologia, dell’immagine liquida, dei materiali anomali e comunque non aulici, del necessario filtraggio dell’arte concettuale. La pittura post Duemila è scienza globale, completamente delocalizzata, morbida e fluida, compatibile al web. Eppure, nel suo caso, incanta, seduce, perché, da qualsiasi parte la si prenda, non tradisce mai la sintassi del colore, unica regola da cui è impossibile prescindere.
Nell’autunno 2016 Paolo Bini vinse il Premio Cairo, il più importante riconoscimento per artisti italiani under 40. Di poche settimane dopo il difficile confronto con le sale della Reggia di Caserta, dove riuscì a trovare insieme forza ed equilibrio per una mostra davvero convincente e matura, rara se si pensa alla sua giovane età, neppure 34 anni. Vive a Battipaglia, dove è nato, e spesso se ne va in Sudafrica, la sua seconda terra dall’altra parte del mondo. WhatsApp-dipendente, quando è laggiù mi manda foto di paesaggi in cui domina costantemente la luce. Altro elemento grammaticale di chi fa pittura. Cercare luce, a favore di vento, dominare gli istinti e trasformarli in ragione. Ci riesce sempre. Mi invia proposte di titoli per i suoi quadri, titoli caldi, evocativi, che il primo a meravigliarsi, quando il quadro è finito è proprio lui.
Da circa un anno lavoriamo insieme a questa mostra cui tiene molto. Gli ho detto “Paolo, fai attenzione questa è la mia città, esigente e severa, fammi fare bella figura”. Il risultato? Io sono soddisfatto, contento e felice, ma non avevo molti dubbi in proposito.